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La mia esperienza di ricercatore

Quando mi è stato proposto di candidarmi a Presidente della nuova “Associazione Italiana di Medicina Funzionale (AIMF-Health)” ho detto sì con grande entusiasmo. La mia storia è quella di un medico che si è dedicato alla ricerca scientifica mentre faceva il clinico per poi indirizzarsi totalmente alla ricerca, dopo aver verificato l’incapacità di scoprire qualcosa di utile per la medicina mentre si sta in prima linea con i malati. D’altro canto, sono convinto anche del contrario, e cioè che sia impossibile, per chiunque si dedichi alla ricerca in medicina, scoprire qualcosa di utile senza avere profonde conoscenze di medicina. E così l’ho fatto: da circa 25 anni la mia principale attività è stata la ricerca in medicina. E per dirla fantasiosamente, ho percorso molti sentieri in questo senso: dalla ricerca sull’immunità mucosale, alla neuroimmunologia, alla genesi del granuloma, all’AIDS, ai modelli animali, alle connessioni membrana-citoscheletro. Da circa 20 anni, mi sono ormai quasi completamente dedicato alla ricerca sui tumori. Basta farsi un viaggio su internet e quello che ho fatto, e sto facendo, è facilmente verificabile.

Il concetto di normalità in medicina e l’allostasi

Tuttavia, devo dire che non ho mai smesso di fare il medico, per poche persone in realtà; soprattutto non ho mai smesso di ragionare come un medico e quindi con la testa non tanto alla malattia ma ai malati. E oggi devo dire che qualcosa nella mia mente è cambiato ed ho scoperto, per esempio, che il concetto di normalità non può essere più quello che ci hanno insegnato qualche decennio fa, e cioè l’omeostasi; perché uno non è normale quando ha tutti i parametri nel range della norma. La normalità è molto più dinamica, tanto che è stato coniato un nuovo termine per esprimerla, cioè “Allostasi”. Ho imparato che dal 1980 esiste una nuova area della medicina che si chiama PsicoNeuroEndrocrinoImmunologia (PNEI), basata su molte evidenze scientifiche, per esempio che i linfociti producono ormoni, o che gli ormoni hanno un effetto sui linfociti (che ho personalmente potuto verificare). Ho potuto verificare che i tumori hanno più aspetti in comune che diversità molecolari.

La complessità della cura in medicina

In generale, ho appurato che la CURA IN MEDICINA è una materia complessa che ha bisogno di una conoscenza sempre più vasta e di una mente adatta per applicare questa conoscenza alla cura dei malati. Ma dal punto di vista della ricerca ho verificato, fino a convincermene, che la causalità è un ingrediente cruciale per scoprire cose nuove, in particolare per scoprire qualcosa in grado di produrre cambiamenti epocali. Alla luce della mia esperienza di tutti questi anni nella scienza, la cosa realmente importante è mantenere un approccio aperto alla procedura sperimentale, privo di chiusure aprioristiche e dogmatiche, tale per cui ciò che a prima vista potrebbe apparire come un errore o qualcosa di insignificante potrebbe rivelarsi una grande scoperta se solo siamo capaci di cambiare l’angolazione, la prospettiva, da cui osserviamo il fenomeno in esame.

La serendipità

Esiste una parola che racchiude tutto questo ed è serendipity. Quando si parla di serendipity ci si riferisce alla scoperta di qualcosa mentre si stava cercando qualcos’altro. L’esempio classico, in questi casi, è quello relativo alla penicillina. Fleming stava studiando uno stafilococco quando una delle sue piastrine di coltura si contaminò e su di essa si sviluppò un’area ben delimitata priva di batteri: il resto della storia lo conosciamo tutti. Nel 2008 è stato pubblicato su «Financial Time» un articolo provocatorio sul ruolo della serendipity nel futuro della medicina. In realtà la serendipity ha avuto un ruolo chiave nella scoperta di un’ampia gamma di farmaci psicotropi, tra cui l’anilina viola, il dietilamide dell’acido lisergico, il meprobamato, la clorpromazina e l’imipramina. Però, come per qualsiasi evento fortunato, per fare una scoperta mediata dalla serendipità si deve in realtà avere una grande attenzione a quello che sta accadendo attorno a noi, e con una mente sufficientemente sganciata dalle tradizionali infrastrutture cognitive e culturali che normalmente rendono l’attività di ricerca estremamente focalizzata su un obiettivo definito, forse troppo come sta succedendo oggi.

Per finire, ciò che mi lega a doppio filo alla Medicina Funzionale risiede nella convinzione che la Medicina deve essere necessariamente il frutto della profonda conoscenza di un approccio multiplo alla cura, e personalmente darò tutto il contributo possibile per almeno avviare un nuovo processo di formazione dei medici del futuro.